Caro lettore,
Ho appena concluso la lettura dell’autobiografia del fondatore della Nike, Phil Knight, intitolata “L’Arte della Vittoria“. A mio modo di vedere, è un volume pieno di significato dove emerge la necessità, nella vita, di fare squadra con i propri compagni. Non è un caso, infatti, se lo sport è sempre stato il proverbiale “pallino” di questa azienda miliardaria.
Leggendo le pagine del libro mi sono reso conto che la Nike, oltre a produrre abbigliamento sportivo, è essa stessa una grande squadra che gioca il campionato del business in modo eccellente.
Qui sotto, come al solito, ti propongo le mie deduzioni personali. Entriamo, quindi, nell’analisi di questa vita:
Non avere paura della precarietà.
Tra le righe dell’autobiografia traspare un grande senso di precarietà, sentimento che accomuna un po’ tutti gli imprenditori, i quali convivono con la possibilità che tutto possa, da un momento all’altro, finire, magari per un cambiamento del mercato o per la scarsità di fondi disponibili.
Phil Knight, però, accetta la precarietà come un dato di fatto e, a parte in qualche caso isolato, cerca di non farsi toccare minimamente da essa. La precarietà, in un certo senso, è il prezzo da pagare per essere se stessi.
Qui sotto riporto delle frasi, estrapolate dal libro, con alcuni miei commenti:
I pavidi non sono mai partiti e i deboli sono morti per strada, quindi rimaniamo noi.
È interessante come concetto. Personalmente mi ricorda che, a prescindere dagli slogan, non tutti sono tagliati per prendersi dei rischi. I “pavidi” spesso sono semplicemente persone caute mentre i “deboli”, nella mia interpretazione, sono coloro che non ce l’hanno fatta non per incapacità ma, forse, perché hanno rinunciato a percorrere una strada che non faceva per loro (anche per effettiva debolezza a volte, sia chiaro).
Imbarcarsi in determinate imprese, come fondare la Nike, richiede una predisposizione al rischio e l’abilità di performare bene sotto pressione, due caratteristiche fondamentali per il successo imprenditoriale.
Come al solito, il contabile in me vedeva il rischio, l’imprenditore la possibilità. Così scelsi il compromesso e andai avanti per la mia strada.
Questa frase conferma l’attitudine di Phil Knight verso il rischio, calmierata da una certa dose di razionalità.
Non aveva mai visto l’Asia e questa poteva essere l’ultima possibilità prima che la nostra azienda chiudesse e i soldi finissero.
Se ai rappresentanti fossero piaciute le nostre scarpe, saremmo sopravvissuti un altro anno. In caso contrario, alla fiera del 1973 non ci saremmo stati.
Questi passaggi ci fanno intendere quanto la vita di Phil Knight sia stata, per certi versi, una lotta con la precarietà. Nonostante ciò, è importante prendere i problemi come sfide da risolvere, piuttosto che come ostacoli insormontabili. Non illudiamoci che la vita di chi ha avuto molto successo sia stata dura solo all’inizio per diventare incredibilmente facile subito dopo. Sviluppare la capacità di avere un obiettivo a lungo raggio, godendosi contemporaneamente le piccole gioie della vita, è essenziale per non caricare troppo il futuro di aspettative, privandoci di un presente gradevole.
Ricorda di essere ottimista.
Mi hanno fatto riflettere queste frasi che ho trovato nel libro:
Se la Blue Ribbon fosse fallita, sarei rimasto senza un soldo e sarebbe stata una mazzata. Ma mi sarebbero rimasti preziosi insegnamenti che avrei potuto applicare alla mia prossima azienda.
“Blue Ribbon” era il nome di quella che sarebbe diventata la “Nike”. In sostanza, se fallisci, cerca di farlo in fretta, solo così avrai il tempo di mettere in pratica ciò che hai imparato e riprovarci. Questa massima mi è capitato di sentirla da diversi imprenditori.
In un certo senso, chi fa impresa è più simile ad un artista che ad un tecnico e, spesso, non può fare a meno di lanciare nuove iniziative. “Fallisci in fretta”, a mio modo di vedere, significa che è meglio chiudere o trasformare un’attività velocemente se si capisce che tale attività non può avere successo.
Se vedi soltanto problemi, non hai una visione chiara delle cose.”
Ogni tanto, poi, è bene contestualizzare le situazioni e trattarle con distacco per evitare di vedere solo problemi. È sempre consigliabile prendersi dei momenti per se stessi e peri i propri cari, evitando di concentrare i pensieri su ciò che non va.
È importante conoscere se stessi per sapere quali obiettivi darsi nella vita.
“Volevo quello che tutti vogliono. Essere me stesso a tempo pieno.”
Questa è una frase che ho preso da libro. La vera domanda, però, è: «Cosa significa essere se stessi?»
“…dedicavo le ore del mattino presto…alla Blue Ribbon. Nessun amico, nessuna attività fisica, nessuna vita sociale ed ero contento come una pasqua.”
Per “essere se stessi” si è spesso disposti a rinunciare a molto ed a concentrare i propri sforzi verso una direzione. Il testo qui, sopra, sempre preso dal volume, rende chiaro come lavorare per ciò che si ama può essere oneroso.
È per questo motivo che diventa importante fare esperienza e mettersi alla prova con il fine di apprendere sempre di più su noi stessi e, dunque, puntare le nostre fiches sulla carta vincente (per noi).
Phil Knight ha scoperto cosa vuol dire essere se stessi e ce lo dice con una frase semplice:
“Volevo costruire qualcosa che fosse mio, qualcosa da poter indicare e dire: l’ho fatto io. Era l’unico modo che conoscevo per dare un senso alla vita.”
Alcune persone, non solo gli imprenditori ma anche gli artisti e i professionisti di vario genere, trovano la loro motivazione nel creare qualcosa di proprio, con cui potersi identificare. Il successo del prodotto/servizio diventa quindi un lascito personale al mondo. La Nike rappresenta il lascito di Phil Knight e del suo socio, Bill Bowerman.
Credi nelle tue intuizioni.
L’idea di Phil Knight era quella di vendere scarpe da corsa giapponesi in America. Aveva visto che le macchine fotografiche giapponesi erano riuscite a penetrare un mercato dominato da tempo dai tedeschi.
Fu così che, non ancora trentenne, andò in Giappone per convincere un’azienda locale a vendergli le scarpe per importarle in America.
Il viaggio in Giappone, all’inizio, fu una tappa di un più ampio viaggio che Phil fece intorno al mondo, con il benestare dei genitori.
È importante seguire il proprio istinto ed evitare di porsi dei limiti che, in realtà, esistono solo nella nostra testa. Phil Knight ha esplorato un mondo recentemente devastato dalla guerra, da giovane, per vendere scarpe e realizzare il suo sogno.
Vendere qualcosa in cui credi è diverso rispetto a vendere qualsiasi altro prodotto. P.K., a sua detta, era stato un incapace venditore di enciclopedie ed un leggermente migliore venditore di fondi comuni di investimento ma era un grande venditore di scarpe. Perché? Perché non vendeva scarpe ma il suo amore per la corsa.
Altra intuizione importante che ci fa capire quanto l’innovazione risieda nelle piccole cose è quella relativa alle scatole delle scarpe. Il nostro Phil, infatti, decise di fare scatole arancioni, in un mondo di scatole bianche o blu.
Il valore delle persone.
Forse la Nike non sarebbe sopravvissuta o, comunque, non avrebbe avuto lo stesso successo senza i personaggi straordinari che ne hanno caratterizzato la storia, dai soci ai primi dipendenti.
Bill Bowerman, il co-fondatore, era l’allenatore di Phil Knight all’Oregon University. Bowerman era un ingegnere della scarpa, un uomo che smontava e rimontava le scarpe per massimizzare le prestazioni degli atleti. Alla base di molte delle innovazioni Nike c’è la sua firma.
Nei primi dipendenti della Nike ho ravvisato poi, personalmente, le seguenti caratteristiche:
- Spirito di sacrificio.
- Grande adattabilità.
- Senso di squadra e di impegno comune.
- Voglia di farcela.
- Approccio innovativo alla risoluzione dei problemi
Credo che, nel selezionare i nostri compagni di viaggio, faremmo sempre bene a verificare che abbiano queste qualità eccezionali perché, nel caso della Nike, persone con poca o alcuna esperienza nel business sono riuscite a creare un’impresa multimiliardaria dal nulla.
Chiudo questa lettera proponendoti alcuni passaggi del libro che commenterò subito sotto:
“Ero incline al pensiero lineare, che per la filosofia Zen non era altro che un’illusione, una delle tante a cui dobbiamo la nostra infelicità. La realtà è non lineare, dice lo Zen. Non c’è né futuro né passato. Tutto è presente.”
Questo è un concetto interessante. In altre parole, non dobbiamo pensare alla nostra vita come ad una scala sempre in salita (o in discesa) ma, piuttosto, ad una serie di opportunità che possiamo decidere di cogliere o meno. Come diceva un grande personaggio, “la fortuna non esiste, c’è solo il talento che incontra un’opportunità“.
Io collego a questo concetto anche la famosa frase di J.R.R. Tolkien “Non tutti coloro che vagano si sono perduti.” Ciò significa, per come la vedo io, che i percorsi sono plurimi e tutti coloro che credono in una serie limitata di essi, sono destinati ad essere delusi.
“Avevo la penosa sensazione che il nostro tempo fosse breve, più breve di quanto pensassimo, breve come una corsa mattutina e volevo che il mio avesse un senso e uno scopo. Che fosse creativo e importante ma, soprattutto, diverso. Volevo lasciare un segno nel mondo, volevo vincere. No, non è esatto. Semplicemente, non volevo perdere.”
Questa irrequietezza, a mio avviso, va calmierata nella vita di tutti i giorni per evitare di ritrovarsi a pensare sempre al futuro, perdendo di vista il presente che, bisogna ricordare, si chiama così perché è un dono.
“Devi dimenticare i tuoi limiti. Devi dimenticare i tuoi dubbi, la tua sofferenza, il tuo passato. Devi dimenticare quella voce interiore che grida e implora: «Non un passo di più!»”
Questo passo è in linea con quanto dicevamo prima relativamente al valore da attribuire al proprio tempo e al proprio percorso. Ieri è passato e domani è incertezza, non possiamo vivere facendoci influenzare da questi due elementi e da tutti i dubbi e le paure che si portano dietro.
“Il nostro obiettivo non erano i soldi, su questo eravamo tutti d’accordo. Non erano i soldi lo scopo del gioco. Ma qualunque fosse il nostro obiettivo o il nostro scopo, i soldi erano l’unico mezzo per arrivarci.”
Mi trovo molto in linea con queste parole. Il denaro è un mezzo e, sicuramente, non un fine, ma saperlo generare e gestire è fondamentale per vedere il concretizzarsi dei propri sogni e obiettivi.
Recentemente ho sentito un’altra frase, che non c’entra nulla con i libro, ma chiarisce il concetto:
“Il denaro è benzina, non avrebbe senso possederlo senza la macchina che hai scelto di guidare”