Sergio Marchionne & l’arte di ricominciare

Autore:

Massimo Schiraldi

Argomenti:

Caro lettore,

Oggi parliamo forse dello sweaterman (letteralmente: “uomo con il maglione”) più famoso di tutti i tempi, almeno in Italia.

La sua vita è narrata nel libro “Sergio Marchionne” di Tommaso Ebhardt, uscito ormai nel lontano 2019 che ho avuto il piacere di rileggere per raggiungere una maggiore accuratezza nella stesura di questo articolo.

Una premessa in numeri

Marchionne può non piacere a molti, sicuramente. Il suo stile manageriale è rimasto noto per essere diretto, senza fronzoli, trasparente e agile. Lui cercava di diradare la nebbia per andare dritto al sodo, affrontare i problemi senza girarci attorno e, soprattutto, senza paura di urtare la sensibilità di qualcuno. Per alcuni (me compreso) queste sono doti ma per altri sono limiti. È per questi ultimi che Marchionne ha certamente raffigurato un personaggio antipatico, contrario allo status quo imperante.

Sui numeri però, non si può sindacare, ed è per questo che riporto qualche punto chiave del suo mandato come amministratore delegato prima di Fiat SpA, poi di Chrysler e, infine, del conglomerato Fiat Chrysler Automobiles.

  • Dal suo arrivo (2004) la Fiat SpA ha moltiplicato di oltre dodici volte il valore della società per i suoi azionisti. Nel giugno 2004 valeva in borsa 6 miliardi di dollari circa. Nel 2018, le aziende nate dal nucleo originario (Fiat Chrysler, Ferrari e CNH) sono arrivate a valere circa 80 miliardi di dollari.
  • Nei 15 anni antecedenti la data di scrittura del libro, il gruppo FCA ha aumentato di circa 3.000 unità i lavoratori in Italia, arrivando a 86.000 unità nel 2017.

Questo per dire che, guardando i numeri, il suo apporto è stato sicuramente positivo. Come egli stesso ha voluto scrivere sulla sua lapide come epitaffio: “ha fatto la differenza“. Soprattutto tenendo a mente che, quando è arrivato come CEO, il gruppo del Lingotto perdeva 5 milioni di euro al giorno.

L’arte di ricominciare

Sergio Marchionne è nato a Chieti, non da genitori ricchi ma in una famiglia normalissima, padre maresciallo dell’arma dei Carabinieri e madre esule istriana.

Per dare un futuro migliore ai propri figli, i genitori emigrano in Canada, dove Sergio, all’epoca adolescente, trovando all’inizio delle forti difficoltà legate al dover apprendere una lingua nuova, riesce a completare il liceo (la High School), a laurearsi prima in filosofia, titolo che il padre riteneva poco utile per lavorare, poi in legge e, infine, in economia.

Da origini modeste Sergio finisce a fare diversi lavori, dall’avvocato all’esperto contabile fino ad approdare, molti anni dopo, alla guida di un’azienda svizzera facente parte della galassia di investimenti della famiglia Agnelli: la società di ispezioni SGS.

Durante il suo mandato da amministratore delegato, il manager italo-canadese rivitalizza completamente l’azienda elvetica ed è qui che si fa notare dalla famosa famiglia piemontese la quale lo seleziona per entrare nel CdA della Fiat già nel 2003.

Parliamo, quindi, di un uomo ambizioso che, partendo da Chieti va in Canada per poi tornare in Europa, in Svizzera, a gestire una società che gli garantirà la notorietà utile ad approdare in Fiat, prima come consigliere, poi come CEO.

Da quando era giovane, Sergio si definisce un “fixer“, ovvero uno che mette a posto le cose, imparando bene il mestiere, comprendendo dove ci sono le falle e, andando, appunto, a sistemarle con il suo fare un po’ burbero.

Sergio ricomincia sempre, prima da adolescente in Canada, poi dopo la laurea in filosofia con un nuovo percorso di studi e successivamente andando a ricoprire il ruolo apicale di Fiat (l’amministratore delegato) senza avere alcuna competenza nell’industria dell’auto.

Le tre regole d’oro: Ottimismo, Responsabilità, Lavoro duro

Marchionne, da CEO, trova una Fiat a dir poco ingessata, dove le scelte calano solo ed esclusivamente dall’alto e nessuno si prende alcuna responsabilità, anche perché la catena di comando è talmente lunga da far risultare praticamente impossibile attribuire le scelte operative ad una singola persona.

Sembra una macchina creata ad hoc per uccidere il coraggio e la competenza dei singoli, annegando il tutto in un’organizzazione burocratica incapace di competere.

Marchionne decide di far saltare il banco, ammoderna gli stabilimenti ridotti in uno stato di abbandono totale (sporchi, vecchi e malandati) e riduce la lunghezza della catena di comando. In pochi passaggi si arriva direttamente a lui, passando per i suoi 28 riporti diretti.

Promuove giovani leve che trova già all’interno di Fiat come Luca De Meo, attuale CEO di Renault, che siano dotate di ottimismo e che vogliano prendersi la responsabilità di un progetto, senza paura di sbagliare.

Ha una totale ossessione per i dettagli ed un focus completo per i risultati. Le macchine che escono dagli stabilimenti devono essere semplicemente perfette. Basta con lo slogan americano FIAT=Fix It Again Tony/Tom (aggiustala ancora Tony o Tom). Adesso si fa e si vende qualità.

La cosa fondamentale da notare è che le persone le quali hanno portato Fiat SpA a produrre utili già nel 2007 (2 miliardi di euro) sono le stesse che perdevano 5 milioni di euro al giorno nel 2004.

È cruciale, dunque, riuscire a percepire il valore nella squadre che si ha già, piuttosto che cercare sempre all’esterno la risposta. Le aziende non vanno male perché tutte le persone che le compongono lavorano male ma perché coloro che dovrebbero gestire i processi vengono, invece, relegati a ruoli minori.

Tutti coloro che osteggiavano il cambiamento, mettendosi di traverso, hanno man mano lasciato Fiat, aprendo la strada a manager e dipendenti motivati i quali credevano che un’azienda italiana in difficoltà finanziarie potesse comprarne una americana (Chrysler) ad una frazione del valore pagato, anni prima, da Mercedes-Benz per la stessa azienda. Il tutto rendendo la divisione americana una vera e propria macchina da soldi che, nel tempo, avrebbe generato la stragrande maggioranza dei profitti di gruppo.

Non accettare la mediocrità

Non mi sono mai adeguato al conformismo, l’ho sempre combattuto in modo feroce…Non mi sono mai piegato ad accettare l’imposizione di un’autorità per il semplice fatto che fosse l’autorità stessa a dirmelo, dovevano spiegarmi il motivo delle scelte

Se abbiamo l’immaginazione, il potere di sognare un futuro come lo vogliamo, allora abbiamo anche la responsabilità di realizzare quel sogno

L’intera forza lavoro deve accettare che d’ora in poi appartenga a un gruppo che non tollera la mediocrità come stile di vita

Il tema del non accettare la mediocrità lo ritroviamo in molte biografie dei leader. Per come la vedo io, accettare di essere mediocri è una grave mancanza di rispetto verso i nostri clienti e le persone che lavorano con noi.

Un’azienda mediocre realizzerà prodotti mediocri, incapaci di soddisfare appieno le necessità di chi li utilizza e sacrifica il proprio denaro per comprarli. Allo stesso modo, essere mediocri significa non poter arricchire l’esistenza di chi ci sta intorno, che siano collaboratori, amici o famigliari.

Non accettare la mediocrità, dunque, significa essere altruisti, togliere il focus da noi stessi per impegnarci al massimo nel rendere migliore la vita degli altri. L’unico modo per arricchirsi, infatti, è quello di creare valore per gli altri, trattenendone solo una piccola parte per noi stessi.

Il ruolo della fortuna

Il motivo per cui così tante persone non arrivano mai da nessuna parte nella vita è perché quando l’opportunità bussa sono fuori nel cortile alla ricerca di quadrifogli.

Chi attribuisce molto peso alla fortuna, spesso ritiene che la (s)fortuna sia responsabile degli insuccessi. Avere questa visione, ovvero riconoscere un impatto minimo alla nostra volontà ed all’impegno, spesso porta estasi nei momenti di crescita e depressione in quelli di fallimento. Due elementi assolutamente malsani.

Sapere riconoscere, invece, le opportunità per coglierle, ci rende più consapevoli della nostra forza e, soprattutto, ci fornisce l’idea di avere un maggiore controllo sulle nostre vite. Abbracciando questo tipo di filosofia, saremo in grado di costruire valore senza aspettare un deus ex machina che ci dia tutte le risposte.

Tempo fa ho letto una frase che riporto qui di seguito e nella quale credo fermamente:

“Ho smesso di aspettare il treno quando ho capito che il treno sono io”

Se vedi gli spettri, diventa un acchiappafantasmi

Marchionne ha avuto una visione precisa: le auto di massa a basso costo (Fiat) avrebbero rappresentato, in futuro, una commodity, ovvero un bene sul quale i margini di profitto si assottigliano, mentre i guadagni sarebbero arrivati da marchi premium di cui non bisognava limitare la produzione ma, anzi, ampliarla, per servire uno scenario globale, non rimanendo ancorati alla vecchia Europa.

Aveva, dunque, visto dei “fantasmi”, dei pericoli, non ancora manifestatisi, che avrebbero ucciso, nel tempo, l’azienda che gestiva.

È per questo che ha ridotto in Italia la produzione di macchine commodity, come la Tipo, ha portato a casa l’affare Chrysler, dotando la Fiat di marchi iconici premium come Jeep e RAM ed ha reso tali brand popolari anche presso la fascia di prezzo media con modelli come la Renegade, aumentando nel frattempo la distribuzione extra europea (in particolare negli USA) di marchi italiani famosi come Maserati.

Marchionne ci insegna che quando vediamo i fantasmi, anche se chi ci sta intorno rifiuta di prendere atto della loro esistenza, abbiamo la responsabilità di agire affinché vengano resi innocui dalle nostre azioni, utili anche al fine di creare valore per noi e, soprattutto, per chi ci circonda.

Oggi, il gruppo Stellantis, nato dall’aggregazione di FCA e di Peugeot, impiega quasi 260.000 dipendenti, fattura quasi 190 miliardi di euro e genera oltre 18 miliardi di euro di utili. Senza Marchionne, tutto questo non sarebbe probabilmente stato possibile.

Chiudo l’articolo con le stesse parole del manager:

“Caro collega,

Esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadano. Le fanno accadere. Non dimenticano i propri sogni nel cassetto, li tengono stretti in pugno. Si gettano nella mischia, assaporano il rischio, lasciano la propria impronta.

È un mondo in cui ogni nuovo giorno e ogni nuova sfida regalano l’opportunità di creare un futuro migliore. Chi abita in quel luogo, non vive mai lo stesso giorno due volte, perché sa che è sempre possibile migliorare qualcosa. Le persone, là, sentono di appartenere a quel mondo eccezionale almeno quanto esso appartiene loro.

Lo portano in vita con il loro lavoro, lo modellano con il loro talento. V’imprimono, in modo, indelebile, i propri valori. Forse non sarà un mondo perfetto e di sicuro non è facile. Nessuno sta seduto in disparte e il ritmo può essere frenetico, perché questa gente è appassionata, intensamente appassionata, a quello che fa.

Chi sceglie di abitare là è perché crede che assumersi delle responsabilità dia un significato più profondo al proprio lavoro e alla propria vita. Benvenuto in quel mondo, benvenuto in FCA“.

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Ciao sono Massimo, un consulente di marketing strategico e giornalista editorialista. Dal 2024 sono Direttore Responsabile della rivista specializzata Retail Watch.

Nel 2020 ho deciso di impegnarmi a leggere 52 libri l’anno (1 a settimana), privilegiando le biografie. Ho imparato la disciplina dagli “All Blacks”, la perseveranza da James Dyson, la negoziazione da Winston Churchill, il sacrificio da Leonardo Del Vecchio e molto altro ancora.

È tramite gli occhi degli altri che comprendiamo come il nostro sia solo un punto di vista. Il mondo ha 16 miliardi di occhi, non accontentiamoci di vederlo solo con 2.

Nel 2024 ho deciso di organizzare i concetti e condividerli con voi in pillole leggibili in 5 minuti.

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