Cari lettori,
Oggi parliamo dell’amministratore delegato di Apple, la compagnia tecnologica i cui prodotti sono diventati dei veri e propri oggetti di culto. Da quando Steve Jobs ha presentato l’iPhone, infatti, il mondo non ha più smesso di parlare dei prodotti della Mela.
La vita di Tim Cook è narrata nella sua biografia, scritta da Leander Kahney, dal titolo “Tim Cook-Il genio che ha cambiato il futuro di Apple“.

Una pesante eredità
Apple non è un’azienda normale ma un potente gigante economico. Basti pensare che, nel libro, si cita un periodo in cui le riserve di liquidità aziendali avevano superato i 267 miliardi mentre le disponibilità del governo degli Stati Uniti si attestavano a quota 271 miliardi di dollari.
Insomma, quando Jobs è venuto a mancare, ha lasciato un vuoto importante in un’azienda fondata da lui la quale basava i propri enormi ricavi su prodotti che egli stesso aveva inventato. Pensare che Tim Cook, una persona silenziosa e generalmente poco incline a stare sotto i riflettori, prendesse il posto del fondatore con successo, era quantomeno improbabile. L’investitore Adam Lashinksky, per citare un’opinione di rilievo, nel 2008 arrivò a dire che “nessuno avrebbe nominato Tim Cook amministratore delegato“.
La verità però è un’altra perché grazie a Tim, la Apple è diventata la prima società al mondo a superare i 1.000 miliardi di valore in borsa ed è entrata in mercati prima totalmente inesplorati che si sono rivelati delle vere e proprie Cash Cow, ovvero macchine da soldi. Solo per fare un esempio, nel settore degli orologi, attraverso la sua linea Apple Watch, la società genera ricavi superiori a quelli di Rolex.
Da quando ha assunto la carica di CEO, Tim ha chiarito i propri valori, pubblicati anche sul sito web dell’azienda, ovvero Accessibilità, Istruzione, Ambiente, Inclusione e Diversità, Privacy e Sicurezza, Responsabilità dei fornitori.
È su questi valori che si è mosso per distaccarsi dall’immagine di Steve Jobs, molto più focalizzato sui prodotti, invece che su temi sociali.
La nascita di un leader
Tim Cook nasce il primo novembre 1960 a Mobile, in Alabama, Stati Uniti. È il secondo dei tre figli di Don e Geraldine Cook, entrambi provenienti dalle campagne dell’Alabama. La madre lavorava part-time come farmacista mentre il padre era dipendente della Alabama Dry Dock and Shipbuilding, società di costruzione e riparazione di navi militari.
Tim era un ragazzino molto credente, tranquillo e con ottimi rendimenti scolastici. Amava la matematica e, in particolare, tutte quelle materie che prevedevano un approccio estremamente analitico. Infatti, di lui dicevano fosse assolutamente affidabile e preciso, con i compiti sempre ben fatti.
Non si trattava però del classico secchione. Piuttosto, Tim era un ragazzo allegro e scherzoso che agli altri piaceva frequentare.
Cook dimostra fin da piccolo grande acume imprenditoriale dandosi da fare per guadagnare denaro. Quando non andava a scuola, ad esempio, faceva le consegne del Press-Register, il quotidiano locale della sua città natale, lavorava in un ristorante o presso la farmacia Lee Drugs.
Ad un certo punto, Tim ricoprì anche il ruolo di business manager per l’annuario scolastico. In pratica, doveva racimolare annunci pubblicitari per finanziare il progetto. Sotto la sua guida, la pubblicazione stabilì un nuovo record di vendite e guadagni. In un certo senso, fu qui che il ragazzo ebbe i primi segnali di come fosse portato per la gestione d’impresa.
Tim cresce in Alabama ma senza condividere molti aspetti del Sud statunitense di quel periodo storico. Ad esempio, gli capita di vedere una scena strana, che non riconosce subito. Si avvicina al giardino di una casa e nota una croce infuocata circondata da membri del Ku Klux Klan. Rimasto scioccato, dunque, urla “Fermatevi!” per poi rendersi conto che uno dei partecipanti incappucciati è il diacono della chiesa del paese.
Per Tim quell’episodio rimarrà indelebile. Attribuirà sempre il razzismo ad una grande ignoranza e, durante il suo mandato da CEO di Apple, farà di tutto per garantire l’inclusione in azienda.
Cresce, quindi, coltivando dei forti valori, fino ad arrivare a idealizzare due persone che ammira grandemente perché hanno rischiato la vita con l’obiettivo di combattere per i propri ideali. Questi due mentori sono Martin Luther King Jr. e Robert F. Kennedy.
Per Tim i valori sono talmente imprescindibili che, da CEO di Apple, un giorno risponderà ad un investitore: “Se vuole che io decida le cose tenendo in considerazione solo il ROI, dovrebbe vendere le nostre azioni“. È, infatti, abitudine di Cook dedicare ingenti somme aziendali ad attività di beneficenza ed alla salvaguardia dell’ambiente.
Tim, da giovane, nel Sud razzista e poco inclusivo, preferisce poi mantenere riserbo sulla sua omosessualità, probabilmente per evitare di essere bullizzato o escluso.
Nel 1978, dopo il diploma, va alla Auburn University per laurearsi in ingegneria industriale. Sceglie la Auburn perché non vuole andare all’Alabama University dove, secondo lui, studiavano solo i figli di medici e avvocati. Voleva sentirsi a casa, circondato da chi, come lui, veniva da famiglie di operai.
È uno studente eccellente, sebbene non spettacolare. Durante gli importanti anni universitari inizia a maturare un particolare talento: è sempre in grado di eliminare tutti i passaggi inutili per arrivare al nocciolo del problema.
Prosegue nello studio con una grande etica del lavoro. Arriverà a dire che chi cerca di ottenere successo senza un duro lavoro alla fine inganna se stesso e quel che è peggio inganna gli altri.
Dopo una prima esperienza alla Reynolds Aluminum, dove ha l’occasione di lavorare a stretto contatto con il Presidente dell’azienda, impegnato in un forte ridimensionamento del gruppo “lacrime e sangue”, Tim viene notato da un reclutatore dell’IBM.
La grande ossessione
L’IBM aveva già più di 350.000 dipendenti in tutto il mondo ed era un’azienda leader nel settore tecnologico. Dopo il successo dell’Apple II di Jobs, la società aveva anche deciso di entrare nel fiorente mercato dei PC.
In IBM quella di Cook è una grande ascesa che dura dodici anni e che lo porta a diventare prima dipendente ad alto potenziale (HiPo, in gergo tecnico) e poi, alla fine del suo percorso, direttore della produzione e della distribuzione per tutto il Nord America.
Tim ha capito una cosa fondamentale del business in cui opera, ovvero che la produzione Just in Time, da lui grandemente apprezzata, rappresenta l’unico modo per ridurre al minimo le giacenze. I computer sono prodotti che perdono valore con estrema velocità. Non è possibile, dunque, conservare giacenze importanti per soddisfare le esigenze dei clienti, pena la veloce erosione della cassa e dei profitti.
È così che Tim decide di organizzare nei minimi dettagli i processi di fornitura, trasporto e assemblaggio dei prodotti al fine di minimizzare le giacenze e massimizzare i prodotti in uscita.
Dopo IBM passa in Intelligent Electronics, azienda leader nelle forniture di microcomputer e altre tecnologie. Qui riveste il ruolo di direttore operativo e, con la sua formula, porta i ricavi a crescere a doppia cifra.
Dopo IE Cook arriva in Compaq dove implementa un sistema denominato Build to Order. In altre parole, invece di produrre cercando di anticipare la domanda, lasciando i computer sugli scaffali dei rivenditori, la Compaq inizia ad assemblare i prodotti solo dopo aver ricevuto gli ordini, organizzandosi in tal senso.
L’approdo in Apple
Cook entra in Apple nel 1998 quando l’azienda è sull’orlo della bancarotta. Tutti gli avevano consigliato di mantenere un impiego più sicuro ma, dopo un colloquio con Steve Jobs, accetta di entrare in nell’azienda di Cupertino.
Jobs lo aveva visto all’opera ed era convinto che il modello Just in Time fosse quello che ad Apple serviva in modo prioritario.
Il fondatore era appena rientrato in azienda come amministratore delegato ad interim. A quell’epoca, la Apple aveva ampliato eccessivamente la linea di prodotti e concesso il software Mac OS in licenza, causando l’imperversare di tantissimi prodotti clone.
L’azienda era organizzata esattamente all’opposto di Compaq perché continuava a perdere vendite non riuscendo a gestire efficacemente la domanda. Anche la logistica era un delirio, con prodotti che viaggiavano da uno stabilimento a Singapore ad uno in Irlanda, ad esempio, solo per essere ultimati.
Cook , nel tempo, applica ai processi aziendali la sua ossessione per l’eccellenza operativa. La linea prodotti viene razionalizzata ed iniziano a fioccare accordi per la produzione in outsourcing in quei Paesi, come la Cina, che garantiscono enorme flessibilità di manodopera. Ad oggi, per fare un esempio, i partner di Apple sono in grado di mobilitare migliaia di operai nottetempo per incrementare la produzione in base alla domanda.
Sotto la guida di Tim, il livello delle giacenze scende e i prodotti della Mela iniziano ad essere spediti al cliente poco dopo la produzione. Cook ripete che le giacenze di qualsiasi azienda vanno gestite esattamente come quelle alimentari, immaginando quindi che abbiano una data di scadenza perentoria.
La Foxconn, un’ azienda partner di Apple per la produzione, possiede strutture gigantesche, complete di alloggi, ristoranti, ospedali, supermercati e piscine che possono estendersi per più di due chilometri quadrati.
Se pensiamo che si sono venduti circa 55 milioni di iPhone X nei primi mesi dopo il lancio, comprendiamo come Apple necessiti, ancora oggi, di fabbriche in grado di produrre anche un milione di pezzi al giorno a pieno regime, grazie al lavoro di circa 750.000 operai.
Dopo qualche anno in azienda, visti i risultati eccezionali nel 2005 Tim diventa direttore operativo di gruppo
A differenza di Jobs, è un capo dall’approccio tranquillo che però tempesta i collaboratori di domande per capire se conoscono nel dettaglio i problemi. È diretto, stacanovista, concede molta autonomia decisionale, crede che i problemi vadano affrontati non appena si presentano e cerca di creare squadra, chiamando i propri dipendenti “team”.
Tim diventa CEO
Quando il ragazzo dell’Alabama diventa CEO di Apple, tutto il mondo degli investitori e degli utenti ha paura che l’innovazione sia finita con Jobs e che Cook non sia in grado di gestire un’azienda complessa come quella.
Accade, invece, che il silenzioso direttore operativo, diventando amministratore delegato, dimostra di avere il pugno di ferro, prendendo decisioni che, a volte, si verificano errate. Quando, ad esempio, seleziona un capo degli Apple Store che, dopo poco, licenzia, commette un errore delicato. Tim, però, sistema e va avanti, così come con l’App Mappe che si rivela non in grado di competere efficacemente con Google Maps.
Ancora una volta, Cook è diverso da Jobs perché ammette i propri errori. Per l’applicazione mappe, ad esempio, decide di scrivere una lettera aperta ai clienti in cui spiega che l’azienda è al lavoro per migliorare il prodotto.
Non ha poi paura di allontanare dall’azienda manager che, per ambizione personale, creano malcontento. Lo farà anche con un dirigente fedelissimo di Steve Jobs, responsabile del software iOS.
Per Cook, ognuno ha i propri margini di azione. Andare a sindacare sul lavoro degli altri è controproducente. In azienda lavorano tutti su binari paralleli, con gli opportuni confronti, per andare avanti insieme, senza che ci siano invasioni di campo da parte di un team o dell’altro.
Tim tiene ai lavoratori e, quando emergono dei problemi, incarica dei controllori certificati di monitorare le condizioni di lavoro nella fabbriche asiatiche che producono i tanto amati iPhone.
Allo stesso tempo, non rimane ancorato ai designi di Jobs ma rivoluziona lo stile di prodotti iconici che venderanno molto bene, dall’iPhone, all’iPad per arrivare all’interfaccia del sistema operativo, che cambia completamente.
Lancia Apple Pay, servizio che cominciano ad utilizzare milioni di persone. L’obiettivo di Cook è la privacy. Non si stanca di ripetere che Apple non ha intenzione di guadagnare sfruttando i dati degli utenti ma solo attraverso la vendita di prodotti spettacolari. Di Apple ci si può fidare.
San Bernardino e la lotta per la privacy
Quando, nel 2016, la Apple riceve la richiesta da parte di un giudice di creare un software specifico che consenta all’FBI di sbloccare l’iPhone di Syed Farook, sospettato della sparatoria avvenuta a San Bernardino il 5 dicembre 2015 nel corso della quale hanno perso la vita 14 persone, Tim risponde che l’azienda non può aiutare in tal senso l’FBI.
Secondo Cook, lasciare la chiave sotto lo zerbino per i poliziotti non significa che non possano trovarla i ladri. Tim crede che la creazione di un tale software possa esporre potenzialmente i dati di milioni di utenti iOS a grandi rischi di sicurezza. Lo stesso Donald Trump si scaglia contro di lui ma il CEO di Apple mantiene la propria posizione. Lo farà fino alla fine perché la privacy è un valore troppo importante per lui. In definitiva, avrà la meglio e non verrà obbligato a creare il software di sblocco.
Alcune considerazioni finali
Nonostante Steve Jobs fosse, senza dubbio, geniale, aveva bisogno di una persona come Cook che consentisse alla Apple di diventare economicamente più forte. La storia di Cook dimostra come un ragazzo, di umili origini, sviluppando una forte esperienza in un campo estremamente specifico come la produzione industriale, non sia solo stato in grado di risolvere i problemi di un’azienda in crisi ma anche di trasformare il processo innovativo in cultura aziendale.
Sotto Cook sono stati lanciati prodotti che hanno cambiato il volto dell’azienda come l’Apple Watch e le Air Pods, tutti articoli che non hanno visto la partecipazione attiva di Jobs. La capacità di Cook di creare un ambiente in cui i singoli possano avere autonomia operativa, ha generato innovazioni impensabili, oltre a mantenere un alto tasso di evoluzione dei prodotti già trattati come l’iPhone. Il tutto, con un’organizzazione impeccabile, capace di massimizzare i profitti.
Tim ha anche dimostrato che, per essere efficaci, non serve dare in escandescenza ma, piuttosto, sapere se la persona che si ha davanti sia la più adatta per gestire una determinata criticità.
Essere pronti ad accettare il fallimento per passare oltre, è un altro tema fondamentale che troviamo in varie biografie. Quando, ad esempio, l’azienda ha deciso di abbandonare il progetto Apple Car, sicuramente la delusione è stata molta ma ciò non ha impedito ad Apple di innovare in altri campi e mantenere alte le performance.
Infine, mantenere dei valori personali, che diventano anche aziendali, spesso risulta premiante. Ancora oggi, ad esempio, l’ossessione di Apple per la privacy è determinante per fidelizzare i clienti a prodotti che non servono a vendere i loro dati ma, soltanto, a renderli soddisfatti.