Al Pacino & l’ultimo sopravvissuto

Autore:

Massimo Schiraldi

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Cari lettori,

Per redigere l’articolo di oggi ho letto l’autobiografia di Al Pacino dal titolo “Sonny Boy”, edita da La nave di Teseo nel 2024.

Al non ha bisogno di presentazioni perché si tratta di uno dei più famosi attori di Hollywood che, nel corso degli anni, ha interpretato moltissimi ruoli, partendo dal teatro, il suo ambiente naturale per poi approdare al cinema.

Ti conviene sopravvivere

In molte storie di successo di cui leggo, gli inizi sono praticamente tragici. In questi contesti è interessante verificare gli esiti delle vite di chi rimane attorno al protagonista principale.

Guardiamo Al Pacino, un uomo che nasce a New York nel 1940, da un padre militare che, dopo la seconda guerra mondiale abbandonerà la famiglia e da una madre che, tra lavori saltuari come donna delle pulizie o operaia, cadendo spesso nella malinconia, prima tenterà il suicidio e poi, forse, ci riuscirà quando Al è ancora molto giovane. Lui non lo saprà mai perché le condizioni della morte della madre rimarranno ambigue.

Diciamo che si tratta del tipico ragazzino del South Bronx senza un santo in paradiso né soldi per mangiare. Lui stesso, parlando anche dei suoi amici scrive: “Quando avevamo fame, rubavamo qualcosa da mangiare. Non pagavamo mai.”

Dei suoi amici stretti, tra cui Cliffy, un ragazzo di cui parla spesso e che stimava per i suoi talenti, Al è l’unico che riesce letteralmente a salvarsi, gli altri moriranno tragicamente per overdose o altre disgrazie.

Nella New York di quegli anni stare in una banda non era una scelta ma una necessità per sopravvivere. Personalmente, ho visto storie del genere anche in Italia, magari nelle regioni di un Sud antico. Come riporta lo stesso attore “Si respirava ovunque un’atmosfera di pericolo…

Qual è la differenza tra Al e i suoi amici, destinati a tutt’altro futuro? Secondo me sono due elementi. Da un lato, la madre e i nonni hanno instillato in Pacino dei valori che lo hanno aiutato a non deragliare, cadendo nei drammi tipici di quei contesti, primo fra tutti la droga.

In secondo luogo, personalmente attribuiscono molto valore alla signora Blanche Rothstein, insegnante di Al che, avendolo visto recitare a scuola andò dalla sua famiglia per dirgli: “Questo ragazzo deve continuare a recitare. È il suo futuro.

Al scrive: “Sul palcoscenico mi sono sempre sentito come a casa mia. Sentivo che era il mondo a cui appartenevo.”

Lo spettacolo, per lui, era anche un modo di rivedere uniti la madre e il padre che, a volte, lo andavano a vedere

Per qualcuno a cui la vita non dà attenzione, relegandolo ai margini, in luoghi dove devi combattere quotidianamente per un pasto caldo, vedere tutte quelle persone che ti applaudono e ti incoraggiano dev’essere galvanizzante.

Lo abbiamo visto anche in altre biografie. Nella vita ci vuole il coraggio di capire chi si è veramente e la forza di diventare quel qualcuno. Se rifiutiamo questo, facendoci trascinare dal rumore intorno a noi, allora siamo destinati a non sfruttare mai appieno il nostro potenziale, con il rischio di non raggiungere quella felicità che è, in realtà, a portata di mano. Basta diventare sé stessi.

Persevera fino a sembrare un idiota

Esistono alcune biografie, come quella di Matthew McCounaghey ad esempio, dove è chiaro che ci sia un momento dove tutto cambia. Vediamo un periodo, anche breve, di sacrificio e poi una svolta chiara e netta. Questo però accade solo in casi eccezionali e particolarmente eccezionali.

Sicuramente, anche nella vita di Al Pacino ci sono stati dei momenti cardine, delle occasioni fondamentali per arrivare al successo come quando lo scritturarono per lo spettacolo teatrale L’indiano vuole il Bronx o per il film Il Padrino, su consiglio di Francis Ford Coppola, all’epoca regista emergente, ma tutta la vita dell’attore, per decenni, è stata caratterizzata da precarietà assoluta, da momenti in cui di giorno faceva qualsiasi lavoretto, dalle pulizie al portiere di un condominio, per esibirsi poi la sera su qualsiasi palcoscenico.

Quando Al scrive “Dopotutto eravamo poveri e i poveri non recitano“, intende dire che permettersi di recitare significa fare anche altro, non avendo spesso, come accadeva a lui, i soldi per l’affitto.

Per lui persone come il suo amico, insegnante di recitazione e mentore Charlie Laughton oppure Marty Bregman, il suo agente storico, sono stati fondamentali per arrivare ad interpretare ruoli che lui poteva solo sognare. Al non aveva un’educazione artistica formale. Quando interpretava Michael Corleone, ad esempio, si ricordava semplicemente dei teppisti nel South Bronx, di come si muovevano e di ciò di cui parlavano e li imitava. Un esempio di cosa significhi diventare sé stessi.

Andare avanti, nonostante tutto, richiede sicuramente molta fiducia nelle proprie capacità e, in seconda battuta, una forte determinazione. Questa determinazione non è concettuale ma estremamente reale. Risiede nel fare, prendere nota dei miglioramenti necessari, applicarli e ripetere, senza soluzione di continuità.

Quando iniziò a fare successo, Al Pacino rimetteva i soldi di tasca propria se teneva ad un film. Credeva più in se stesso che negli altri. A volte ha perso denaro, altre lo ha guadagnato.

Anche quando, dopo la fama, per un periodo abbastanza lungo non è riuscito a fare film degni di nota, ha continuato ad andare avanti.

Quando gli chiedono: “Cosa pensi ti dirà Dio davanti ai cancelli del cielo?“, lui risponde: “Spero che mi dirà:le prove cominciano domani alle quindici.”

Perseverare costa fatica ma è l’unico modo per arrivare dove vogliamo. Come dice Al: “Io non volevo diventare un grande attore, io dovevo.”

Frasi e Concetti Chiave

Imparare ad essere soli aveva i suoi lati positivi ma stava diventando una brutta abitudine

La solitudine, a volte, può rappresentare un ottimo ambiente creativo. È successo anche ad Al. Dobbiamo però ricordarci che la presenza degli altri, i loro giudizi ed il calore che ci possono trasferire sono fondamentali per andare avanti senza cadere su noi stessi.

Ancora un po’ e non avevo neanche un cesso in cui cacare. Non avevo offerte di lavoro, non avevo un agente, non avevo nulla.

Può capitare di trovarsi in momenti disperati. Per Al era all’ordine del giorno. È importante però saperli gestire, rifiutandosi di esprimere giudizi pesanti su se stessi ma piuttosto, identificare le opportunità, seppur piccole, del momento e coglierle per togliersi dagli impicci. È fondamentale non farsi definire dal momento presente. Pensiamo alle azioni di un’azienda, ad esempio. Se oggi calano del 20% non significa che i dipendenti sono tutti automaticamente più stupidi del 20%, no? È solo una brutta giornata, basta passare oltre e focalizzarsi su ciò che si può fare per renderla migliore.

Nonostante Al abbia passato quel tipo di momenti, nel libro consiglia di non accettare mai un lavoro solo per soldi perché nella visione che si ha di se stessi, bisogna dare coerenza. A volte, il valore maggiore lo si ottiene nel lungo termine, senza depauperare il presente. Ricordiamo che, come dice Jordan B. Peterson, famoso psicologo canadese, “la rinuncia è un atto di ottimismo perché mostra fiducia nel futuro“.

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Ciao sono Massimo, un consulente di marketing strategico e giornalista editorialista. Dal 2024 sono Direttore Responsabile della rivista specializzata Retail Watch.

Nel 2020 ho deciso di impegnarmi a leggere 52 libri l’anno (1 a settimana), privilegiando le biografie. Ho imparato la disciplina dagli “All Blacks”, la perseveranza da James Dyson, la negoziazione da Winston Churchill, il sacrificio da Leonardo Del Vecchio e molto altro ancora.

È tramite gli occhi degli altri che comprendiamo come il nostro sia solo un punto di vista. Il mondo ha 16 miliardi di occhi, non accontentiamoci di vederlo solo con 2.

Nel 2024 ho deciso di organizzare i concetti e condividerli con voi in pillole leggibili in 5 minuti.

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