Cari lettori,
Per la redazione di questo articolo ho letto la biografia di Fabrizio De André dal titolo “Non per un dio ma nemmeno per gioco“, edita da Feltrinelli ed uscita nel 2000. L’autore è Luigi Viva.

Fabrizio De André, lo sa chi ne apprezza la musica, è diventato famoso per il suo stile poetico, ereditato da “mostri sacri” francesi come, ad esempio, Georges Brassens che il cantautore apprezzava particolarmente e di cui tradurrà la canzone “Il Gorilla“.
Se hai un lusso, sfruttalo
Il padre di Fabrizio De André non era nato benestante ma lo era diventato, lavorando duramente e anteponendo il dovere a tutto, come ricorderà la moglie Luisa.
Giuseppe De André, infatti, laureato in lettere molto giovane, si dedicò al mondo accademico fino a diventare titolare di un istituto tecnico prima e poi di un’ altra struttura. Più tardi accumulerà cariche di prestigio come quella di vicesindaco di Genova e, infine, tra le altre, quella di amministratore delegato di Eridania.
Fabrizio riuscirà a dedicarsi alla musica anche grazie al fatto di avere, in un certo senso, le spalle coperte economicamente. Di questo, però, non c’è nulla da vergognarsi.
Il vero spreco è quello di non approfittare di una condizione di vantaggio. Chiaramente, i testi di Fabrizio non erano molto popolari perché di natura poetica. Contenevano delle critiche esplicite ad alcuni usi e costumi, critiche nate da un carattere per natura trasgressivo. Canzoni di questo tipo hanno necessitato di tempo per diventare fonte di reddito e, nel frattempo che ciò accadeva, il cantautore veniva mantenuto dal padre che lo aveva anche impiegato presso i suoi istituti. Se così non fosse stato, però, magari non avremmo mai potuto ascoltare le musiche rivoluzionarie di Fabrizio De André.
La potenza della campagna
Negli anni della seconda guerra mondiale, i De André si rifugiarono nell’Astigiano. Fabrizio era piccolo ma quel periodo ha per sempre segnato la sua esistenza in modo positivo. Infatti, ricercherà la campagna per tutta la vita e la ritroverà quando, molto più avanti, acquisterà una proprietà terriera in Sardegna.
La campagna è molto formativa, è lì che Fabrizio impara a cacciare, a rapportarsi con la natura, ad avere a che fare con gli animali.
Quell’ambiente gli fornisce un senso di libertà. Già da piccolo, De André comincia a mostrare un carattere ribelle che non tollera le imposizioni. Inizia anche a fare scherzi alle persone, segnale anch’esso di una forza irriverente. Fabrizio rimarrà ribelle tutta la vita, approcciando anche le donne in modo deciso e trattandole male occasionalmente, quando magari rimarrà scocciato dai loro comportamenti.
In quel periodo Fabrizio, oltre a vivere la campagna, vede rientrare da un campo di concentramento lo zio Francesco, completamente svuotato di ogni energia vitale, fatto che lo colpirà per la violenza con cui una vita si possa spegnere pur senza cessare.
Iniziano poi a vedersi delle differenze tra Fabrizio e Mauro, il fratello che, a differenza del cantautore, sarà sempre uno studente modello che, infine, diventerà un grande avvocato.
Il cascinale nell’Astigiano costituirà un veicolo per non far soffrire ai due fratelli le paure della guerra e, nel mentre, per Fabrizio rappresenterà un luogo sicuro che si porterà nel cuore, un posto dove tornare prima o poi. Nella vita, l’importanza di ottenere un porto sicuro, sia esso in campagna o altrove, è fondamentale perché quando si inciampa, si ha la tentazione di raggiungere un luogo in cui sentirsi protetti.
Regole, quali regole?
La madre Luisa descrive così il figlio: “Quando era piccolo voleva fare i fatti suoi e non sopportava di essere ripreso o sgridato, era un bambino piuttosto vivace“.
Un suo amico, Mauro Tiraoro, riporta: “Fabrizio era di una generosità totale, non dava alcun peso al valore delle cose, tanto che se aveva del denaro lo divideva con gli amici senza problemi, spontaneamente, era disposto a prestarti o a regalarti tutto quello che aveva, una cosa eccezionale“.
Lo stesso De André di lui dice: “Per me le donne erano proprio una cosa da prendere e fare nel senso letterale del termine, senza tanti corteggiamenti“.
Ferruccio Bertini parla in questa chiave del cantautore: “Non utilizzava l’intelligenza nelle cose in cui magari l’avrebbero così un po’ stancamente utilizzata gli altri; lui cercava una sua realizzazione che in qualche modo per fortuna ha trovato“.
Il ritratto di De André è di qualcuno che abbatte completamente le barriere. Nonostante sia figlio di borghesi, frequenta assiduamente le strade di Genova e tutti i ragazzi che vi ci trova. A lui piacciono le persone vere, quelle che hanno qualcosa da raccontare. L’unica gerarchia concepibile è quella mentale, sicuramente non quella sociale, decisamente più in voga.
Vede la scuola come un’imposizione, un’ ingiustizia che cala dall’alto e che va contestata. Legge molto ed impara che l’intelligenza non risiede nell’accumulo di nozioni ma, piuttosto, nel saperle selezionare per arrivare ai veri significati delle cose.
Il suo andare contro le convenzioni non ha limiti. Un giorno si spingerà addirittura a masticare un topo morto sputato da un gatto per una scommessa, chiedendo subito dopo qualcosa di forte da bere.
Fabrizio fa amicizia facilmente, il suo distacco apparente è una calamita per tutti coloro (incluse le donne) che sono attratti dal mistero. In realtà, dietro questa maschera da burbero, De André nasconde una sensibilità verso problemi sociali radicati di cui inizia a parlare tramite le proprie canzoni.
Oltre a questo, Fabrizio era un gran pigro. I suoi amici si ricordano di come fosse difficile, a volte, riuscire a farlo uscire di casa. Pigro per tutto ma non per la musica perché, quando si trattava di scrivere, diventava preciso, puntiglioso e professionale.
Nel profilo di Fabrizio De André rivedo delle caratteristiche comuni ad una certa classe di persone di successo. Molte caratteristiche citate come la pigrizia, l’irriverenza, la tendenza a non rispettare le regole, sono generalmente considerate negative ma, a volte, sono un segnale di particolare intelligenza.
Ciò che conta è trovare il volano per canalizzare questa intelligenza senza disperderla. In mancanza di ciò, il rischio è di far chiudere su se stesse queste persone che, nel tempo, rischiano di reputarsi inutili in quanto non riescono spesso a trovare un posto in luoghi convenzionali.
Il lato oscuro
Cristiano De André, il figlio nato dal primo matrimonio di Fabrizio, dice: “Mio padre è un uomo che fa molta fatica a vivere e quindi anch’io sono legato a questa sua fatica, perché la sento che è genetica, la sento dentro di me, non solo per il mestiere che fa. È proprio la fatica di stare al mondo, di avere rapporti con gli altri, di accettare tanti meccanismi, tante cose…“
Come abbiamo detto, dietro il distacco di Fabrizio si celava un mal di vivere che De André nascondeva con l’alcol. Sarà il padre, in punto di morte, a chiedergli di smettere di bere.
Se da un lato Fabrizio, nel frequentare i suoi amici, come il famoso Paolo Villaggio, mostrava di essere allegro, dall’altro spesso aveva delle carenze umane, dei pesanti nodi da sciogliere dentro di sé.
Anche in questo caso, descrivere e narrare il proprio “lato oscuro”, utilizzandolo come leva di ispirazione è molto più consigliabile di lasciare che questo lato ci mangi da dentro.
Questo lato, in De Andrè, lo si vedeva da alcune forti paure che aveva, come quella di esibirsi davanti ad un pubblico per esempio.
Fabrizio si è sempre espresso coinvolgendo i propri amici con cui formava un gruppo affiatato. Anche questo è importante, ovvero che per esprimersi serve assolutamente avere intorno persone che rappresentino una buona valvola di sfogo, oltre ad un’occasione per non prendersi troppo sul serio.
Gli altri ci arriveranno
Il padre di Fabrizio lo osteggiò nelle sue scelte perché aveva abbandonato l’università per mettersi a suonare. Solo dopo, quando “arrivarono i quattrini”, come dice lo stesso De André, il padre lo supportò in ciò che faceva.
Sicuramente, come abbiamo visto in altri casi, scegliere percorsi non convenzionali all’inizio quasi mai è premiante. Bisogna però credere in se stessi perché gli altri non lo faranno.
Spesso, chi ci circonda non è cattivo ma semplicemente legittima il proprio percorso, mettendolo in contrapposizione con quello che scegliamo noi. Dare ascolto ai buoni consigli è sempre ottimo ma, in questi casi, è meglio ascoltare noi stessi, lavorando verso gli obiettivi che ci siamo prefissati.
De André per anni lavorò negli istituti del padre ma, pian piano, la sua musica divenne nota e le royalties da essa derivate gli consentirono di diventare benestante anche senza l’aiuto del genitore.
Non sempre arriva il successo, questo è chiaro, ma se vogliamo avere almeno una possibilità di intercettarlo sicuramente non possiamo precluderci i percorsi che lì ci conducono.
Nel libro vengono riportati molti episodi della vita del cantautore, dalla morte prematura del fratello Mauro alla relazione con Dori Ghezzi e al rapporto con Paolo Villaggio ma quelli presentati qui sopra sono gli elementi che ho ritenuto di approfondire di più. Per approfondimenti, consiglio vivamente la lettura della biografia.